E' POSSIBILE LA REVOCA DELLA DONAZIONE?
La donazione è revocabile per ingratitudine qualora il donatario manifesti un sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarietà che, secondo il comune sentire, dovrebbe invece improntarne l’atteggiamento.
Tale manifestazione è integrata qualora il donatario di un immobile, poi concesso in comodato al donante, agisca per ottenere la liberazione dell’immobile dal donante medesimo, ormai novantenne e privo degli affetti familiari più prossimi, a mezzo di una intimazione formale, non preceduta da alcun contatto diretto e personale, e ciò a prescindere da qualsivoglia valutazione circa la legittimità di tale domanda di restituzione.
IL CASO
Tizio e Caio, fratelli germani, in qualità di proprietari comodanti di un immobile in Palermo, convenivano in giudizio la comodataria, originaria donante a quelli dell’immobile medesimo, per chiedere la risoluzione del contratto di comodato per mancato uso del bene, e dunque la restituzione dello stesso.
In via riconvenzionale, la comodataria donante chiedeva la revocazione della donazione per ingratitudine, allegando di aver subito grave ingiuria da parte dei donatari.
Il Tribunale di Palermo respingeva entrambe le domande con sentenza n.ro 2592 del 2010; tale sentenza veniva tuttavia riformata in secondo grado, rinvenendo la Corte d’Appello di Palermo nel caso in esame la sussistenza dei requisiti per la revocazione dell’atto liberale.
La controversia giungeva così innanzi alla Corte di Cassazione, la quale, con l'ordinanza 13 agosto 2018, n. 20722, ha confermato la pronuncia di appello, con rigetto integrale del ricorso degli originari donatari.
PROBLEMATICHE GIURIDICHE
La fattispecie oggetto della pronuncia giudiziale solleva a ben vedere due questioni giuridiche totalmente diverse, che pur nel caso in esame si intersecano tra loro.
In primis, infatti, si pone il problema di valutare se nel caso in esame i comodanti donatari avessero o meno il diritto di richiedere la restituzione dell’immobile alla comodante ed in secundis se un eventuale pur legittimo esercizio del loro diritto potesse in ogni caso rappresentare una grave ingiuria per il donante tale da consentire la revocazione della donazione.
Il diritto alla restituzione della cosa concessa in comodato
Come noto, il comodato è quel contratto reale essenzialmente gratuito con il quale una parte, il comodante, consegna ad un’altra, il comodatario, una cosa mobile o immobile affinchè se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Tale obbligo di restituzione è disciplinato differentemente dagli artt. 1809 e 1810 c.c. a seconda che nel comodato sia stata indicata o meno la durata.
Nel primo caso, ai sensi dell’art. 1809 c.c. l’obbligo alla restituzione deve essere adempiuto alla scadenza prevista dal contratto, che può essere stata indicata in modo espresso ovvero de relato mediante individuazione dell’uso cui la cosa data in comodato è destinata. In tale ultimo caso, infatti, il comodatario è tenuto a restituirla quando se ne è servito in conformità a tale uso.
In ogni caso, anche prima che scada il termine previsto, il comodante può sempre chiedere al comodatario la restituzione anticipata del bene qualora gli sia sopraggiunto un urgente e impreveduto bisogno.
Se invece nel contratto di comodato non è previsto alcun termine di durata, nemmeno de relato mediante indicazione dell’uso cui la cosa è destinata, il comodante può chiedere la restituzione in ogni momento ai sensi dell’art. 1810 c.c.
Sul punto, risulta rilevante precisare come quando un immobile è concesso in comodato per i bisogni della famiglia o per esigenze abitative, la giurisprudenza è monolitica nel ricondurre la fattispecie non al contratto di comodato privo di durata, ma a quello d’uso, ove il termine del comodato, pur non prefissato, deve desumersi de relato in base all’uso cui la cosa è destinata: in poche parole, tale comodato dura sino a che permangono le esigenze familiari o abitative, e al comodante è fatto salvo di richiedere la restituzione del bene prima della cessazione di tali esigenze non in ogni momento come previsto all’art. 1810 c.c., bensì solo qualora gli sia sopraggiunto un urgente e impreveduto bisogno.
Nel caso in esame, per quanto la sentenza in esame non si esprima espressamente sul punto, pare possibile desumere che il comodato dell’immobile fosse stato concesso alla originaria donante al fine di soddisfare le sue esigenze abitative e che, dunque, fino al perdurare delle medesime la restituzione del bene concesso in comodato non potesse essere richiesta.
Tanto premesso, dalla medesima motivazione della sentenza pare emergere come in effetti i comodanti avessero allegato la circostanza che la loro donante e comodataria avesse di fatto smesso di abitare nell’immobile, con ciò dimostrando che fossero venute meno le esigenze abitative giustificanti il comodato, ovvero che la comodataria se ne fosse già servita conformemente all’uso, e che pertanto potesse ritenersi scaduto il termine di durata del medesimo.
Se tanto è vero, per quanto detto sopra si sarebbe potuto ritenere legittima la loro domanda alla restituzione dell’immobile.
Senonchè viene in rilievo il secondo profilo giuridico già accennato, attinente alla valutazione della richiesta di restituzione del bene non da un profilo meramente di legittimità, ma di correttezza morale e rispettosità nei confronti della persona della donante, alla luce della disciplina sulla revocazione della donazione per ingratitudine di cui agli artt. 800 e ss. c.c.
La revoca della donazione per ingratitudine
Come noto, ai sensi dell’art. 800 c.c., la donazione validamente effettuata (che non sia donazione remuneratoria o fatta in riguardo di un determinato matrimonio) può essere sempre revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
In particolare, la revocazione per ingratitudine è possibile ogniqualvolta si verifichi uno degli eventi indicati all’art. 801 c.c., ossia:
• quando il donatario abbia commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell’art. 463 c.c.;
• quando il donatario si sia reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante;
• quando il donatario abbia dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante;
• quando il donatario abbia rifiutato indebitamente al donante gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433, 435 e 436 c.c..
L’ipotesi che viene richiamata nel caso in esame è quella della grave ingiuria: essa, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, si distacca, tuttavia, dalle previsioni degli artt. 594 e 595 c.p., e consiste in un comportamento del donatario che manifesti un sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la comune coscienza, dovrebbe invece improntarne l’atteggiamento.
Grave ingiuria è dunque un comportamento che esteriorizzi, e dunque renda percepibile a terzi, l’ingratitudine del donatario verso il donante, nei cui confronti sia maturata una opinione irriguardosa.
E’ evidente che tale fattispecie sia destinata ad evolversi e a mutare in tutt’uno con l’evolversi degli usi e costumi sociali, e che per la sua individuazione molto dipenda dal comune sentire di cosa possa ritenersi rispettoso o anche solo tollerabile e cosa invece non possa esserlo, a prescindere da una valutazione di legittimità (tanto in sede civile quanto penale) del comportamento medesimo.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Tanto premesso in punto di diritto, risulta ampiamente giustificata la pronuncia della Corte di Cassazione, che ha confermato quanto disposto dalla sentenza di secondo grado, rigettando il ricorso dei donatari comodanti.
Nel caso in esame, infatti, la Corte di Appello aveva individuato nei comportamenti dei donatari un contegno a dir poco oltraggioso verso la donante, tenuto conto della sua età avanzata (ormai novantenne), delle sue condizioni di vita, del fatto che si trovasse ormai priva degli affetti familiari più prossimi e che confidasse ciecamente nel loro operato.
In tali circostanze il comune senso del rispetto fa percepire come intollerabile l’invio a questa da parte degli allora comodanti e donatari di una lettera formale di intimazione al rilascio dell’immobile, intimazione peraltro nemmeno preceduta da un tentativo di contatto personale e diretto con la comodataria.
E ciò a prescindere da qualsiasi valutazione circa la legittimità o meno dell’azione intrapresa dai donatari medesimi come comodanti, ossia a prescindere dalla ipotetica sussistenza o meno di un diritto alla restituzione della cosa concessa in comodato. Come ben chiarito dalla Corte di Cassazione, la decisione della Corte di Appello impugnata ha valutato l’iniziativa giudiziaria intrapresa dai ricorrenti non sotto il profilo della legittimità dell’azione, irrilevante ai presenti fini, ma più correttamente nell’ambito del legame affettivo con la donataria, legame che l' aveva indotta ad effettuare la donazione.
In conclusione, nel rigettare il ricorso e confermare la bontà della decisione del Giudice di secondo grado, la Cassazione ha statuito che l’individuazione di un comportamento ingiurioso del donatario rilevante ex art. 801 c.c. può prescindere da qualsivoglia valutazione circa la legittimità del medesimo, basandosi piuttosto su una valutazione fattuale tratta dal comune sentire circa il suo carattere oltraggioso, contrastante con il sentimento di gratitudine e di stima che invece dovrebbe naturalmente caratterizzarlo.
fonte altalex