Tradizionalmente, a beneficiare dell’assegno (una percentuale della pensione maturata dal titolare che, dopo la sua morte, continua a essere erogata ad alcuni soggetti) sono state soprattutto le mogli vedove. Oggi però grazie a riforme e interventi dei giudici ( vedi Corte costituzionale con la sentenza 88/2022) hanno ampliato il diritto, a certe condizioni, a separati, divorziati, superstiti di unioni civili, figli, nipoti. Ne consegue che la quota debba dividersi tra più persone.
Fruisce della pensione diretta (o indiretta, se il lavoratore non ha maturato il diritto ma è assicurato con almeno 15 anni di contributi) il coniuge che, se beneficiario unico, ne incasserà il 60 per cento. La quota andrà tagliata se il coniuge concorre con altri familiari o supera certi limiti di reddito.
La questione cambia se separati o divorziati.
Se il pensionato lascia un coniuge superstite e un divorziato titolare di assegno, la reversibilità - in ragione della sua funzione oggettivamente solidaristica - andrà tra loro ripartita. Il criterio usato per la ripartizione deve tener conto della durata dei rispettivi matrimoni (Tribunale di Roma, 13174/2021) e delle eventuali convivenze more uxorio cui, per stabilità della comunione spirituale e materiale, non si può riservare un ruolo di semplici correttivi ma un’autonoma rilevanza giuridica (Cassazione, 41960/2021). A pesare sull'importo anche il valore del mensile e la posizione economica delle parti.
A fruire della pensione di reversibilità sono anche i figli (legittimi, naturali, riconosciuti, dichiarati o adottivi) minori, inabili al lavoro, maggiorenni fino a 21 anni se studenti o iscritti a corsi professionali e 26 se universitari, o in pari condizioni i nipoti, anche non conviventi con il defunto, e anche maggiorenni se orfani inabili al lavoro (come ha affermato la Corte costituzionale, sentenza 88/2022), purché a carico, inteso non in senso fiscale o come totale dipendenza ma come sostentamento continuativo (Cassazione, 41548/2021).
A differenza dei partner di unioni civili, non hanno diritto alla reversibilità i conviventi di fatto, né i superstiti di coppie same sex stabili e di lunga durata, se il decesso preceda l’entrata in vigore della legge 76/2016 (Cassazione 8241/2022).
Per quanto riguarda i conviventi di fatto, non ci sono novità. A differenza di chi si è unito con unioni civili, i conviventi non hanno diritto alla reversibilità. Il loro diritto perso quindi non passa nemmeno ai superstiti di quelle coppie che stanno insieme da molto tempo se il decesso preceda l’entrata in vigore della legge 76/2016.
Le percentuali sono differenti in base alla composizione della famiglia e alla presenza di figli.
Le percentuali di divisione della reversibilità in caso di figli
Nel caso della contitolarità, ovvero quando ci sono più figli e dunque la pensione spetta all’insieme di persone, alla data nella quale un figlio diviene maggiorenne o trova un lavoro, o finisce gli studi, perde il diritto alla reversibilità. Pertanto la pensione va ricalcolata per i rimanenti beneficiari. Il superstite ha diritto altresì alle mensilità aggiuntive, ovvero tredicesima e quattordicesima, se il defunto le percepiva.
La pensione di reversibilità però non spetta più al coniuge che convoli a nuove nozze e per i beneficiari che perdano i requisiti, per superamento delle soglie di età oppure venir meno dell’inabilità o fruizione di altra pensione.
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