Il mobbing rientra fra le malattie professionali indennizzabili dall’Inail
Cos’è
Si definisce “mobbing” il comportamento consistente in una serie di atti (anche se singolarmente considerati eventualmente leciti) che hanno lo scopo di perseguitare un lavoratore per emarginarlo e spingerlo a presentare le dimissioni. Il mobbing, in altre parole, non è che un processo sistematico e voluto di cancellazione della figura del lavoratore che viene portato avanti attraverso una continua eliminazione dei mezzi e dei rapporti interpersonali che sono necessari al lavoratore per svolgere la sua normale attività lavorativa.
Si deve trattare di una condotta – considerata nel suo complesso – lesiva della dignità professionale e umana del lavoratore, dignità da intendersi sotto l’aspetto morale, psicologico, fisico o sessuale.
Quanto questo comportamento è realizzato dal datore di lavoro (o comunque da un superiore) nei confronti di un dipendente prende anche il nome di “bossing” (o “mobbing verticale”).
Può accadere, invece, che questa pratica illecita venga realizzata da alcuni lavoratori nei confronti di un loro collega ritenuto da emarginare per i più svariati motivi (politici, etnici, razziali, di orientamento sessuale ecc). In questo caso il fenomeno viene anche definito “mobbing orizzontale”.
Perché sussista il mobbing, quindi, non è sufficiente un singolo atto ma è necessaria una pluralità di situazioni.
Questi comportamenti devono essere tutti finalizzati alla persecuzione del lavoratore per ottenerne le dimissioni, a prescindere dal fatto che l’obiettivo venga o meno raggiunto.
Per questo motivo, il mobbing non va confuso con il semplice “demansionamento “ (vedi la scheda sul Lavoro subordinato a tempo indeterminato).
Il demansionamento, infatti, consiste nell’assegnazione del lavoratore a compiti e mansioni inferiori a quelli che gli spetterebbero in base al suo inquadramento.
Certamente il demansionamento è un atto che normalmente viene utilizzato all’interno delle pratiche di mobbing dal momento che il lavoratore viene ad essere deprezzato professionalmente. Tuttavia la semplice assegnazione a mansioni inferiori non è di per se sufficiente a consentire di ritenere sussistente una ipotesi di mobbing che – per definizione – prevede una pluralità di atti che – intesi nel loro complesso – diventano lesivi della dignità umana e professionale del lavoratore.
Il risarcimento dei danni
Il lavoratore vittima di mobbing può maturare delle vere e proprie patologie, fisiche o psichiche, che possono essere indennizzate attraverso una richiesta di risarcimento dei danni.
Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un lavoratore vessato e umiliato quotidianamente dai propri superiori che contragga una forma di depressione.
I danni di cui si può domandare il risarcimento sono di natura:
patrimoniale: ovverosia tutti i danni quantificabili direttamente in una somma di denaro come le spese sostenute per le cure piuttosto che per una perizia medico-legale per l’accertamento della presenza di una patologia. Egli, inoltre, in alcuni casi può essere risarcito anche del danno patrimoniale subito in conseguenza del mobbing e che comporta, in sostanza, un'incidenza negativa sulla sua sfera economica.
Ad esempio, il danno patrimoniale subito dal mobbizzato può identificarsi nell'essere stato costretto a sostenere delle spese mediche, farmaceutiche o per visite specialistiche in conseguenza delle lesioni psico-fisiche derivanti dal mobbing o, anche, nel mancato guadagno conseguente all'impoverimento delle sue capacità professionali che si verifica in tutti i casi in cui il mobbing comporta un'inattività forzata del lavoro, la sua perdita di chances, il mancato avanzamento di carriera, la compromissione della sua immagine professionale e così via.
non patrimoniale: Il mobbizzato, infatti, può essere risarcito innanzitutto per le sofferenze non patrimoniali subite in conseguenza delle condotte persecutorie, che vanno valutate globalmente dando rilevanza alla lesione della salute psico-fisica del danneggiato (danno biologico), alla sofferenza interiore derivante dalle condotte persecutorie (danno morale) e al peggioramento delle sue condizioni di vita quotidiane (danno esistenziale).
L’importanza della tutela della persona
Difendersi dal mobbing sul lavoro è importante per una serie di motivi. Innanzitutto, non è ammissibile l’ostracizzazione di un dipendente per motivi di sesso, razza, religione o anzianità di servizio.
In secondo luogo, è fondamentale rivolgersi a professionisti come quelli dello Studio Gaudiello per la tutela di un giusto equilibrio psicofisico del dipendente. Una situazione reiterata di mobbing, infatti, può causare disturbi di ansia, depressione, insonnia o fobie di vario tipo, e potrebbe compromettere la futura capacità del dipendente di trovare un altro lavoro.
Fatto
La questione portata all’attenzione dei Giudici riguardava il caso di una erede di un pubblico dipendente che aveva agito in giudizio al fine di veder riconosciuta la natura professionale della malattia del de cuius, causata dalla condotta vessatoria posta in essere dall’ente pubblico di cui egli era stato dipendente.
I giudici di primo e secondo grado avevano respinto la richiesta avanzata dalla ricorrente, ritenendo che la fattispecie del mobbing non rientrasse tra le malattie tabellate da parte dell’INAIL, né costituisse malattia la cui insorgenza era correlata specificamente ad un rischio tipizzato nelle tabelle e insito nello svolgimento della mansione da parte del dipendente.
La Corte d’Appello in particolare sottolineava che, per poter essere indennizzata, occorre che la malattia insorga "nell'esercizio e a causa delle lavorazioni”, richiedendo quindi necessariamente un collegamento causale specifico all’attività in concreto svolta dall’assicurato, non assumendo invece alcun rilievo, a tal fine, l’organizzazione del lavoro.
La Corte di Cassazione, con una pronuncia che si inserisce nel solco di un risalente orientamento giurisprudenziale, ha invece ritenuto di discostarsi dalle conclusioni cui erano giunti i giudici nei precedenti gradi di giudizio.
I giudici fanno un excursus delle precedenti decisioni in materia, richiamando diverse pronunce nelle quali è stata riconosciuta la sussistenza di una malattia indennizzabile dall’INAIL laddove causata non dal rischio proprio della mansione in sé considerata, bensì dalle circostanze ambientali in cui le mansioni venivano svolte.
Secondo la Suprema Corte, in materia di assicurazione sociale, accanto al rischio specifico proprio ed immanente alla lavorazione cui è addetto il dipendente, costituisce fattispecie indennizzabile anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia quello “non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa”.
In questo senso, ricorda la Corte, l’evoluzione interpretativa operata dalla giurisprudenza ha consentito via via di estendere l’ambito di tutela, ad esempio riconoscendo protezione assicurativa al dipendente colpito da patologia in quanto esposto al fumo passivo di sigaretta sul luogo di lavoro, oppure ancora al lavoratore colpito da infortunio in itinere, nel quale l’evento è conseguenza dell’esposizione a rischi generici (quale, in ipotesi, l’incidente stradale) del tutto estranei rispetto ai rischi specificamente collegati alla mansione svolta dal lavoratore.
Peraltro, tale posizione giurisprudenziale è stata da tempo fatta propria da una disposizione di legge, l’art. 10 comma 4 della Legge 2000 n. 38, il quale espressamente prevede che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale".
E diversamente non potrebbe essere, dato che, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, oggetto di tutela non è il rischio di infortunio o di malattia professionale “bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela”.
Conclusioni
In conclusione, a parere della Corte non può esservi dubbio in merito alla possibilità di veder riconosciuta la tutela assicurativa della malattia costituita dalla condotta mobbizzante subìta dal lavoratore sul luogo di lavoro, fermo restando, in ogni caso, l’onere della prova a carico di quest’ultimo rispetto alla riconducibilità della malattia al mobbing effettuato dal datore di lavoro.