Moglie con lavoro part-time. Ha diritto al mantenimento?
La Cassazione conferma per il marito l’obbligo di versare alla ex-moglie cinquantaseienne l’assegno di mantenimento, inutile dunque l’opposizione proposta. Non è possibile quindi attribuire alla donna colpe perché non riesce a trovare opportunità di lavoro più favorevoli.
Alla moglie spetta il mantenimento se, senza colpa, non riesce a trovare un impiego maggiormente retribuito e non ha già rifiutato (senza motivo) offerte di lavoro migliori.
Per una donna che ha superato i 55 anni di età ed è stata a lungo lontana dal mondo del lavoro con una consequenziale formazione obsoleta, il lavoro part-time è il massimo auspicabile. Ecco perché la Cassazione sancisce, con l'ordinanza n. 12329/21, il diritto a percepire dal marito un assegno di mantenimento quantificato in 200 euro mensili. Inutile l'opposizione del marito che non è riuscito a dimostrare la responsabilità della donna in relazione alla trasformabilità del contratto part-time in un di tipo full time, così come non ha provato che la donna non si sia adoperata per cercare altre opportunità lavorative.
In primo grado il Tribunale pronuncia la separazione tra i due coniugi e sancisce a carico dell’uomo l’obbligo di versare 250 euro al mese come assegno di mantenimento per ciascuno dei figli «maggiorenni ma non autosufficienti economicamente».
La sentenza viene appellata dalla donna e in secondo grado, dunque, l’uomo viene gravato di un ulteriore onere: 200 euro mensili come assegno di mantenimento anche alla moglie.
In particolare, come già constatato dai giudici d’Appello, partendo dal fatto «la donna ha reperito un’attività part-time presso un ente privato», non si può ignorare che «a causa della sua età (56 anni), della prolungata estromissione dall’attività produttiva e della ormai obsoleta formazione», ella «non è riuscita a reperire altre e più convenienti attività lucrative».
Per completare il quadro, poi, è decisivo il riferimento alla «sensibile differenza tra i redditi dei due coniugi, essendosi rivelati nettamente più alti quelli dell’uomo, ancorché i suoi redditi immobiliari non risultassero neppure dichiarati in maniera completa». Così, mancando anche prove circa una possibile «colpa della donna nel non essere riuscita ad ottenere una modifica del rapporto di lavoro o nell’avere rifiutato proposte di lavoro più favorevoli», è confermato il suo diritto a vedersi versare ogni mese l’assegno di mantenimento dal marito.
La Cassazione stabilisce con tale ordinanza che il ricorso è inammissibile, e sottolinea che (come diversamente accade in caso di divorzio) in caso di separazione l'assegno di mantenimento deve garantire al beneficiario il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in quanto l'obbligo di assistenza materiale, non viene meno, mentre l'obbligo di fedeltà e di coabitazione restano sospesi.
La prova dei presupposti per ottenere il riconoscimento dell'assegno di mantenimento spettano a chi ne fa richiesta, però , se chi richiede l'assegno non è responsabile della propria condizione (perché non riesce a reperire un'occupazione migliore), è onere di chi contesta il mantenimento individuare tutti gli elementi contrari al diritto di mantenimento allegati in sede di merito e non valutati dal giudice di primo grado.
Scarica la Sentenza⇒(Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 12329/21; depositata il 10 maggio)
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