Importanti novità in tema di pignoramenti fiscali e tutela dei diritti dei contribuenti.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 114 del 31 maggio 2018, ha dichiarato incostituzionale l’art. 57 del DPR n. 602/73 intervenendo finalmente a colmare un vuoto di difesa per tutti i contribuenti che durava ormai da quasi vent’anni.
La Corte Costituzionale, infatti, dichiara l’illegittimità costituzionale della norma “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 cpc” (dispositivo della sentenza).
Per capire meglio si ritiene opportuno fare un esempio.
Attualmente se una persona subisce un pignoramento da un qualsiasi soggetto e ritiene che questo sia illegittimo, in quanto le pretese sono venute meno – poichè ad esempio già pagate o compensate con altro credito oppure prescritte – può legittimamente opporsi proponendo un’azione chiamata opposizione all’esecuzione, prevista dal nostro Codice di procedura Civile all’articolo 615.
Ebbene, fino al 30 maggio 2018 tale opposizione era ammessa nei confronti di tutti i pignoramenti tranne che per quelli fiscali. In realtà, al contribuente veniva consentita l’opposizione all’esecuzione esclusivamente se volta a contestare la pignorabilità dei beni ma si può ben capire che la maggior parte delle contestazioni non era ammessa.
I giudici della Corte Costituzionale sul punto chiariscono come l’impossibilità, dettata dalla norma, per i contribuenti di opporsi al concessionario della riscossione (ex Equitalia e ora Agenzia Entrate Riscossione) “confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24 della Costituzione e nei confronti della pubblica amministrazione dall’art. 113 della Costituzione, dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva” (punto 14 della sentenza).
Si ritiene, dunque, che la tutela dei diritti dei contribuenti abbia fatto un grosso passo avanti anche se ancora non del tutto completa.
Leggendo infatti il dettato della sentenza emerge chiaramente come i giudici dichiarino l’illegittimità costituzionale della norma solo “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso … sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 cpc” (dispositivo della sentenza).
Ciò vuol dire che attualmente se da una parte viene consentito ai cittadini di opporsi ai pignoramenti del Fisco, dall’altra parrebbe ancora inammissibile un’azione preventiva seppur consentita dall’art. 615 c.p.c.
L’opposizione all’esecuzione, infatti, permette al debitore di opporsi al creditore sia prima che questo inizi l’azione esecutiva (ossia prima del pignoramento, si veda l’art. 615, 1° comma, c.p.c.) che a seguito della stessa (art. 615, 2° comma, c.p.c.).
Pertanto, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, ci si trova ancora nella situazione che qualora il contribuente dovesse venire a conoscenza di un suo presunto debito tributario (ad esempio attraverso la consegna dell’estratto dei ruoli da parte del concessionario della riscossione), egli non potrà agire in via preventiva – magari per rilevare l’avvenuto pagamento o la prescrizione delle pretese – ma avrà solo la possibilità aspettare il pignoramento con il rischio però di subire gravi e illegittimi danni da un’azione di quel genere (si pensi a un pignoramento presso terzi nei confronti di clienti del contribuente o a un pignoramento presso la banca, ecc…).
Nel primo caso il contribuente oggi può solo tentare di agire in via di autotutela, comunicando all’amministrazione i motivi per i quali le pretese non sono dovute (e magari diffidandola a non agire), ma un ampliamento dei diritti di difesa anche in questi casi sarebbe sicuramente opportuno.