E’ legittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore per aver pubblicato sul social network Facebook immagini e commenti di natura offensiva nei confronti della Società datrice e dei suoi responsabili.
E' legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che pubblichi sui social network (nella specie, Facebook) immagini e commenti offensivi nei confronti della società datrice, non potendo essere invocato dal dipendente un divieto ex art. 8, L. 300/70 di interferenza nella vita privata posto che l'accesso al suo profilo Facebook è volto ad accertare non le sue opinioni bensì atteggiamenti rilevanti ai fini della verifica delle sue attitudini professionali, stante la potenzialità diffusiva del materiale postato.
Questo è quanto affermato dalla Suprema Corte con Ordinanza del 12 novembre 2018, che ha confermato la decisione resa dalla Corte d’Appello di Torino (e, prima ancora, dal Tribunale di Alessandria) con cui era stata rigettata la domanda proposta da un dipendente avente ad oggetto la dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per aver pubblicato sul social network Facebook immagini e commenti di natura offensiva nei confronti della società datrice e dei suoi dirigenti.
L’Ordinanza in esame segue l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale la condotta extralavorativa del dipendente può avere rilevanza disciplinare ove costituisca violazione delle obbligazioni gravanti sul lavoratore o, comunque, si rifletta negativamente sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative di un futuro corretto adempimento della prestazione.
La gravità del fatto risiede, nel caso di specie, sia nell’offesa in sé sia (e soprattutto) nella dimensione pubblica (e potenzialmente indeterminata) della stessa insita nella modalità di diffusione - immediata e per lo più indiscriminata - di ogni messaggio postato sui social network.
In particolare, per attribuire rilievo disciplinare ai comportamenti extralavorativi la giurisprudenza ha integrato il dovere di fedeltà sancito dall'art. 2105 c.c. con i canoni di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c. declinandolo in termini di leale comportamento nei confronti del datore di lavoro tale da imporre al dipendente l'astensione tanto dai comportamenti espressamente vietati dalla legge quanto dai comportamenti contrastanti con i doveri correlati all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, in quanto conflittuali rispetto alle finalità e agli interessi del datore di lavoro o, comunque, idonei a ledere il presupposto fiduciario del rapporto.
E’ per tali ragioni che deve ritenersi disciplinarmente rilevante il comportamento tenuto dal lavoratore che, nel pubblicare sulla propria bacheca Facebook un commento denigratorio nei confronti del proprio datore di lavoro (e, quindi, diffondendolo a una platea ampia se non indeterminata di utenti) ne ha certamente leso il decoro e l'immagine.
In definitiva, la gravità dell'illecito emerge proprio dalla dimensione pubblica dell'offesa insita nella modalità di diffusione (immediata e per lo più indiscriminata) di ogni messaggio postato sui social network, che la rende inevitabilmente più grave dell’offesa verbale ad un collega sul sul posto di lavoro proprio per la dimensione privata di quest’ultima (e, come tale, non suscettibile di ledere l'immagine aziendale).
Peraltro, già lo scorso 27 aprile la Suprema Corte, con sentenza numero 10280, nel decidere un caso pressochè analogo a quello in esame, aveva dichiarato legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente per aver questi pubblicato sulla propria bacheca virtuale di Facebook affermazioni che esprimevano disprezzo per l'azienda («mi sono rotta i c******i di questo posto di m***a e per la proprietà»).
Anche in tale sentenza la Corte aveva affermato che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.
In conclusione, la condotta di postare un commento su Facebook realizza inevitabilmente la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che se, come nel caso in esame, lo stesso è posto in essere da un dipendente ed è offensivo nei riguardi della società datrice di lavoro, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale il comportamento del dipendente - in quanto idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che sorregge il rapporto lavorativo - giustifica il recesso in tronco.
fonte altalex
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