Natura composita dell’assegno di divorzio: rilevante il contributo fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio familiare.
L’assegno divorzile, deve essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri di cui all’art. 5, comma 6, Legge n. 898/70, essendo volto non a ricostituire il tenore di vita coniugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Tutto ciò premesso, per il riconoscimento e il calcolo dell’assegno di divorzio il giudice deve valutare:
Ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, il giudice del merito deve tenere conto sia dell’impossibilità per l'ex coniuge richiedente di procurarsi mezzi economici adeguati a condurre una vita libera e dignitosa, sia del contributo apportato dallo stesso alla formazione del patrimonio familiare e dell'altro coniuge, valutando in particolare l'incapacità di procurarsi detti mezzi in relazione alle scelte compiute in vista della realizzazione della vita familiare, che abbiano comportato la perdita di opportunità formative o il sacrificio di aspirazioni professionali.
IL FATTO.
Nel giudizio di divorzio di due coniugi, il Tribunale di Varese dichiarava inammissibile la domanda di pagamento degli oneri relativi alla casa familiare, di proprietà del marito ma assegnata alla donna che vi risiedeva insieme ai due figli. Determinava l'assegno di mantenimento dei due figli a carico dell'uomo, mentre respingeva la domanda di assegno di divorzio avanzata dalla donna. La sentenza veniva impugnata dinanzi alla CdA di Milano la quale, accogliendo parzialmente l'impugnazione della donna prevedeva a carico dell'uomo un assegno divorzile e l'obbligo di contribuire al mantenimento della prole con il pagamento delle spese di riscaldamento e manutenzione del parco di pertinenza della casa familiare. Avverso la sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di quattro motivi. In particolare, con il primo motivo del ricorso principale e con il ricorso incidentale ci si doleva del fatto che la Corte territoriale, nel riconoscere l'assegno di divorzio in misura ridotta rispetto a quello di mantenimento offerto spontaneamente dall'ex marito nell'accordo di separazione, rimasto immutato per i dieci anni successivi, fosse incorsa in errore nell'interpretazione dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/70, alla luce della sentenza delle S.U. n. 18287/18. L'uomo si difendeva con controricorso e proponeva ricorso incidentale basato su un unico motivo. La signora rispondeva con un controricorso al ricorso incidentale.
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CASSAZIONE
L'assegno di mantenimento, previsto in sede di separazione, e l'assegno di divorzio svolgono funzioni diverse, hanno presupposti, contenuto e finalità differenti. Più specificamente, l'assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Al contrario, tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno di divorzio, che deve essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all'art. 5, comma 6, l. n. 898/70, essendo volto non a ricostituire il tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. I giudici milanesi osservano che, anche se la scelta di cessare di lavorare della donna era stata condivisa dal marito durante la convivenza matrimoniale, dopo la separazione la signora non aveva mai tentato di riprendere un'attività lavorativa, scegliendo autoresponsabilmente di non procurarsi autonomamente le risorse economiche per poter provvedere, almeno in parte, alle proprie esigenze di vita, nonostante il matrimonio fosse cessato e destinato allo scioglimento. La decisione della CdA milanese - adottata anteriormente alla pubblicazione della sentenza delle S.U. n. 18287/18 – riconosceva l'assegno divorzile all'ex moglie tenuto conto del fatto che, mentre l'ex marito era titolare di un patrimonio ingente, la stessa non disponeva di un lavoro per potersi mantenere autonomamente – e, considerata l'età (oltre cinquant'anni), difficilmente lo avrebbe potuto trovare-, né di mezzi adeguati per acquistare una propria abitazione e conservare certe abitudini di vita, in relazione al contesto benestante in cui le era stato consentito vivere dall'ex marito anche dopo la separazione. Quindi, a detta dei giudici della Sesta sezione, la CdA milanese, pur ritenendo di condividere la sent. 10 maggio 2017, n. 11504 della Cassazione – secondo la quale, in sostanza, non è configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale, in quanto l'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell'indipendenza o autosufficienza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile – in realtà se ne discosta. Né ha potuto statuire seguendo i criteri differenti fissati dalla sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, emessa a S.U. dalla Suprema Corte, in data posteriore all'adozione in camera di consiglio della sentenza della Corte territoriale milanese (anche se il deposito di questa risulta avvenuta in data successiva). Secondo le Sezioni Unite all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa. Il contributo deve essere volto a consentire al richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Il giudice del merito che si pronuncia sulla domanda di corresponsione di un assegno divorzile è tenuto ad accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente (economicamente più debole) di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale. L'assegno di divorzio, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali/reddituali - che il richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale (Cass. n. 38362/21; Cass. n. 24826/22).
Conclusione. La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 27948/22 accoglie il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, ritenendo assorbiti i restanti motivi. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla CdA di Milano, in diversa composizione, la quale, oltre a decidere alla luce del dictum delle S.U. (sent. n.18287/18) e delle successive statuizioni conformi della Suprema Corte, dovrà altresì provvedere sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.