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Danno da omessa tardiva diagnosi: rilevanti età e consistenza del ritardo
I congiunti di un tassista avevano citato in causa due medici chiedendo il risarcimento del danno subito per il decesso, del loro caro a causa della tardiva diagnosi di un adenocarcinoma polmonare che aveva colpito la vittima, con la conseguente violazione del diritto di quest’ultimo di “determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto”.
Come e in che misura va risarcito il danno arrecato a un paziente a cui viene diagnosticata con ritardo una patologia incurabile? La Corte di Cassazione ritorna sul tema dell’omessa tempestiva diagnosi di patologie ad esito infausto, e questa volta non per delimitare l’area dei danni risarcibili, ma per stabilire come liquidare il danno non patrimoniale determinato dal ritardo stesso.
La Suprema Corte – in linea con precedenti giurisprudenziali che hanno sancito l’inapplicabilità delle c.d. Tabelle di Milano nella valutazione del danno derivante dalla violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta del proprio percorso esistenziale – ha precisato che:
“Per il danno da omessa tardiva diagnosi, non soccorrendo le note tabelle di elaborazione giurisprudenziale, occorre avere a riguardo tutte le circostanze del caso concreto ed, in particolare, l’età del paziente al momento della morte, il periodo di ritardo intercorso fra il primo accertamento diagnostico, la diagnosi di malattia e l’intervenuto decesso, le condizioni generali di salute del paziente nei mesi intercorsi tra il primo accertamento e l’effettiva corretta diagnosi.”
Infatti, la liquidazione equitativa di cui all’art 1226 c.c. può essere utilizzata dal giudice quando, come nel caso in esame, è impossibile determinare l’ammontare del risarcimento o quando la sua determinazione risulti particolarmente difficoltosa. L’applicazione di tale criterio non deve pregiudicare l’entità del risarcimento del danno non patrimoniale, che comunque deve essere congruo: il giudice, infatti, è tenuto a prendere in considerazione il pregiudizio effettivo subito e le ripercussioni negative che lo stesso ha avuto sul patrimonio dello stesso e sul valore della persona, provvedendo al ristoro integrale.
La funzione della valutazione equitativa, per usare le parole dell’ordinanza in esame, è quella di determinare la “compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio subito, vale a dire quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa”. Questo non deve pregiudicare, tuttavia, l'entità del risarcimento che, in ogni caso, dovrà essere congruo, e specifico con riferimento al singolo caso concreto. Il giudice, infatti, è tenuto a prendere in considerazione il pregiudizio effettivo subito e le ripercussioni negative che lo stesso ha avuto sul patrimonio e sul valore persona, provvedendo al ristoro integrale dello stesso.
Di conseguenza, è fondamentale che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione della valutazione operata su ciascuno di tali elementi rendendo così evidente il percorso logico seguito nella determinazione stessa e consentendo, al contempo, il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento. Nella fattispecie in esame, la Corte d’appello, nella qualità di Giudice del rinvio rideterminava in riduzione la somma prevista dalla Magistratura in prima istanza per il risarcimento dei danni accordati ai parenti ricorrenti, in conseguenza del decesso del loro congiunto, avvenuto a causa di una “tardiva diagnosi”. Veniva quindi riproposto ricorso in Cassazione, lamentando che per la valutazione e quantificazione del danno, il Giudice di merito abbia fatto ricorso a criteri non pertinenti con la fattispecie in esame.
In rigetto del ricorso proposto, la Suprema Corte, osservava che era già stato affermato in prima istanza dalla stessa Corte che:
“è autonomamente risarcibile la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali (nella specie determinata dal colposo ritardo diagnostico di patologia ad esito certamente infausto), invero non coincidente con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere e autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, liquidabile in base a valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass., 15/4/2019, n. 10424), in difetto di relativa contemplazione nelle Tabelle di Milano la corte di merito l’ha nell’impugnata sentenza equitativamente determinato ex art. 1226 c.c., in piena e corretta applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui la valutazione equitativa del danno deve effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto (v. Cass., 25/6/2021, n. 18284; Cass., 21/7/2011, n. 15991. Cfr. altresì Cass., 29/2/2016, n. 3893; Cass., 21/8/2018, n. 20829 e Cass., 18/4/2019, n. 10812), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità e di evitare che la valutazione risulti sostanzialmente arbitraria (v. Cass., 25/6/2021, n. 18284).”
Così i Giudici di Piazza Cavour, ribadivano il principio per cui la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito sia allorquando la determinazione del relativo ammontare è impossibile, sia quando risulti particolarmente ostica ed il Giudice di merito può farvi ricorso anche in mancanza di esplicita richiesta di parte. Naturalmente, aggiungeva la Suprema Corte, il ristoro pecuniario non può mai coincidere alla esatta commisurazione del danno non patrimoniale ed è dunque necessario il ricorso alla valutazione equitativa rimanendo fermo il fatto che il risarcimento non deve essere simbolico, ma effettivamente congruo. Dunque con l' Ordinanza n. 28632/2022, la Suprema Corte conferma il principio secondo cui il danno non patrimoniale subito dal soggetto che, a causa di una tardiva diagnosi muoia senza poter scegliere come autodeterminarsi sul suo fine vita, si quantifica in via equitativa.
Pertanto, possiamo, oggi, convenire che il danno da tardiva diagnosi di patologie ad esito sicuramente infausto, determina la lesione di un bene reale, certo ed effettivo, apprezzabile con immediatezza e consistente nel diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali. Si parla di tutto un ventaglio di opzioni con le quali il paziente avrebbe potuto scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita, dalla possibilità di ricorrere a trattamenti lenitivi, alla scelta di un percorso che porti a contenere la durata della malattia stessa fino alla consapevole accettazione del proprio dolore fisico.
In tale prospettiva, dunque, il diritto di autodeterminazione del paziente ha ricevuto un positivo riconoscimento e piena protezione.
Nel caso di specie, la Corte, ha ritenuto come il Giudice di prime cure, abbia fatto corretta applicazione di queste direttrici, precisando che per il risarcimento del danno da tardiva diagnosi dovuto ai familiari, si fosse correttamente tenuto conto di tutte le circostanze specifiche del caso concreto, come l'età del paziente (58 anni), il ritardo intercorso tra il primo accertamento, la diagnosi di tumore e il successivo decesso, che nel caso di specie è stato di 1 anno e due mesi, le condizioni generali del paziente nel periodo compreso tra il primo accertamento e la diagnosi corretta, risultanti dalla documentazione medica.
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