Assegno di mantenimento. La ex moglie viene inchiodata da un’attività investigativa commissionata dal marito che testimonia le sue buone condizioni fisiche. Le obiezioni proposte in Cassazione sono risultate inutili per cui viene confermata la vittoria dell’ex-marito il quale non dovrà versare più la somma di 400 euro mensili
IL FATTO
La donna aveva originariamente ottenuto un assegno di mantenimento di euro 400, ma i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto legittima la revoca dello stesso in quanto, a seguito di una attività investigativa commissionata dal suo ex, poteva facilmente desumersi che ella fosse in buona salute. Tale buona salute emergeva dal fatto che l’ex moglie era stata immortalata mentre camminava, guidava e andava in bicicletta per cui poteva escludersi che ella era in condizioni tali che le impedissero di lavorare. Sempre dalle indagini commissionate ad una agenzia investigativa dal marito emergeva che la donna, pur avendo ufficialmente dato le dimissioni, continuava a lavorare quotidianamente nello studio di commercialista in cui era inquadrata, fino a poco tempo prima, come dipendente.
Scarica la sentenza ⇒ CASSAZIONE, ORDINANZA N. 5077/21, SEZ. VI CIVILE, DEPOSITATA IL 25 FEBBRAIO
I Giudici del Tribunale , dopo aver ufficializzato la fine del matrimonio, «affidano il figlio minore ad entrambi i genitori, con collocazione presso la madre» e «stabiliscono a carico dell’uomo la somma mensile di 500 euro quale assegno di mantenimento del figlio minore e quella di 400 euro mensili quale assegno divorzile a favore della ex moglie».
In Appello però i Giudici decidono che «ella non ha diritto ad alcun assegno divorzile», considerata la sua totale capacità lavorativa, testimoniata da ciò che è in grado di fare normalmente e dai resoconto di alcune indagini investigative commissionate dall’ex marito.
A questo punto l’ex moglie contesta in Cassazione la valutazione compiuta dai Giudici d’Appello. Ella sostiene che sono state erroneamente «ritenute decisive le risultanze delle investigazioni» che a suo dire «sono in realtà non circostanziate, e perciò non idonee a comprovare l’esistenza di un suo rapporto di lavoro».
In aggiunta, poi, la donna lamenta anche l’omessa considerazione di «certificazioni mediche depositate in atti e comprovanti una patologia» che le rende impossibile, spiega, «la regolare prestazione di un’attività lavorativa». Tali obiezioni non sono però sufficienti per mettere in discussione la decisione presa in Appello.
Per i Giudici della Cassazione, difatti, legittimamente si è negato alla donna «l’assegno di mantenimento», preso atto della «sua piena capacità lavorativa, desunta dalle indagini investigative – disposte dall’ex marito –, dalle quali è emerso che, anche dopo le formali dimissioni dallo studio di un commercialista, ella ha continuato a prestare di fatto attività lavorativa presso tale studio».
Per quanto concerne, infine, la questione fisica, correttamente si è escluso che la donna si trovi in condizioni tali da precluderle la possibilità di lavorare, potendo, invece, ella «tranquillamente camminare, guidare e persino andare in bicicletta».
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