Amministrazione di sostegno . I giudici della Suprema Corte hanno ribadito che (partendo dal dato normativo art 404 c.c. e dalla ratio alla base dello stesso) può essere assoggetta ad amministrazione di sostegno la persona che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi.
FATTO
Nell’ambito di un procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, la beneficiaria lamentava in Cassazione, tra l’altro, la violazione dell’art. 404 c.c., “con riferimento alla valutazione del presupposto della sua incapacità a provvedere ai propri interessi”, considerata “la sua condizione di soggetto capace di intendere e di volere e riluttante all’amministrazione di sostegno”.
CORTE DI CASSAZIONE
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso fondato, osservando che il giudice dell’appello ha concluso per la sussistenza dei presupposti per la nomina di un'amministrazione di sostegno per garantire "la corretta gestione del patrimonio della reclamante" andando cos' a distorcere l'istituto rispetto alle sue intrinseche finalità.
La procedura DI NOMINA DI UN AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO, pur se non esige che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità d’intendere o di volere, presuppone almeno il riscontro di una condizione di menomata capacità tale da porre la persona stessa nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi; dunque, al contrario esclude che il sostegno debba esser disposto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di determinarsi, anche se in condizioni di menomazione fisica. L’istituto dell’amministrazione di sostegno non può essere piegato ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volto, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire.
la Cassazione ha preso posizione sulle fondamentali questioni del dissenso del beneficiando rispetto all’apertura della misura di protezione, e della rilevanza della presenza di una rete familiare protettiva, sancendo il principio di diritto per cui “l'equilibrio della decisione [in ordine alla apertura della misura, n.d.a.] deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell'autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie a seconda dei casi: se cioè la pur riscontrata esigenza di protezione della persona (capace ma in stato di fragilità) risulti già assicurata da una rete familiare all'uopo organizzata e funzionale, oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela; nel secondo caso il ricorso all'istituto può essere giustificato, mentre nel primo non lo è affatto, in particolare laddove all'attivazione si opponga, in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse si discute”.
Il giudice della Corte hanno quindi cassato il decreto impugnato.
SCARICA QUI IL PDF⇒⇒CASSAZIONE CIVILE , Sez. I, 31 dicembre 2020, n. 29981
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