Assegno divorzile, mutamento giurisprudenziale non basta per modificarlo
La Cassazione civile (sentenza n. 1119/2020) ribadisce la necessaria sopravvenienza di fatti nuovi ai fini della modifica delle condizioni contenute nel provvedimento giurisdizionale
I “giustificati motivi” che legittimano la richiesta di revisione dell’assegno divorzile, non possono consistere nel mutato indirizzo giurisprudenziale di legittimità. La revisione dell'assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, presuppone l'accertamento di fatti sopravvenuti nelle condizioni economiche degli ex coniugi, idonei ad alterare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni di entrambe le parti.
La Corte di Cassazione, sezione I civile, con sentenza 20 gennaio 2020, n. 1119 , chiarisce quali siano gli effetti del recente indirizzo giurisprudenziale sull’assegno divorzile nel caso di giudizi già chiusi, ribadendo la necessaria sopravvenienza di fatti nuovi ai fini della modifica delle condizioni contenute nel provvedimento giurisdizionale.
Il caso
Un uomo agisce ai sensi dell’art. 9 della legge sul Divorzio per la modifica delle condizioni di divorzio – sentenza risalente al 2012 – chiedendo la revoca dell’assegno divorzile e la riduzione del mantenimento per la figlia. Il Tribunale di Roma respinge la richiesta con decreto del 13 maggio 2014.
Anche la Corte d’appello, con provvedimento datato 19 luglio 2016, respinge il reclamo dell’uomo, poiché le domande non erano fondate su nuovi elementi ma miravano ad una rivisitazione di circostanze già dedotte e in prevalenza già presenti al momento della pronuncia in sede di divorzio.
In Cassazione il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dei seguenti fatti sopravvenuti rispetto alla pronuncia di divorzio del 2012:
Infine, il ricorrente, ha chiesto che la Corte Suprema tenesse conto dell'evoluzione della giurisprudenza in tema di assegno divorzile (Cass. n. 11504/2017 e SU n. 18287/2018), intervenuta in epoca successiva al deposito della decisione impugnata, valutando le sue censure alla luce dell’aggiornato quadro giurisprudenziale.
Il mutamento di natura e funzione dell'assegno divorzile, affermato dalla Cassazione a Sezioni Unite, non costituisce di per se giustificato motivo valutabile ai sensi dell'art. 9 legge divorzio.
La Corte suprema si pronuncia sulla possibile incidenza dell’orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite della Cassazione, alle decisioni passate in giudicato.
La funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della norma, e non creativa della stessa. L'interpretazione delle norme giuridiche non ha efficacia cogente ma solo persuasiva.
Il cambiamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non sottostà al principio di irretroattività, non è assimilabile allo ius superveniens e può essere disatteso dal giudice di merito (Cass. Civ. S.U. n. 4135/2019).
Diverso il caso in cui intervenga un cambiamento dell’orientamento di legittimità sulle norme che regolano il processo, in cui si può parlare di “prospective overruling”, a condizioni determinate.
Sulla sentenza di divorzio si forma un giudicato seppure rebus sic stantibus, che può essere modificato solo in presenza dei “giustificati motivi” di cui all’art. 9 della Legge n. 898/70. In sede di revisione, il giudice non può compiere una nuova valutazione dei presupposti o dell’entità dell'assegno, sulla base di una diversa considerazione delle condizioni economiche delle parti già eseguita in sede divorzile, ma deve limitarsi a verificare se, e in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (Cass. Civ. n. 787/2017 e Cass. Civ. n. 11177/2019).
Nel caso di specie, a parere dei giudici, i fatti dedotti dal ricorrente erano già stati esaminati da parte della Corte romana, la quale aveva ritenuto che le circostanze allegate (reddito di lavoro della donna, pensionamento del marito, incidenza di disponibilità finanziarie, oneri derivanti dall'accudimento della madre da parte del ricorrente, contrazione di nozze da parte dello stesso, acquisizioni ereditarie da parte di lei) non erano in parte sopravvenute e comunque non alteravano il quadro delle stabilite condizioni di divorzio.
CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 1119/2020
fonte altalex
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