Danno futuro
Nel nostro ordinamento vige il principio dell’integralità del risarcimento, pertanto, il danneggiato ha diritto al ristoro non solo del danno patito immediatamente (danno attuale), ma anche di quello che si realizzerà nell’avvenire (danno futuro), in quanto rappresenta un nocumento che colpisce la parte lesa. Si pensi alla vittima di un incidente, che riporti un’invalidità parziale permanente, tale da costringerla ad assumere qualcuno che la assista.
Ebbene, ella ha diritto al risarcimento integrale del pregiudizio subito, comprese le spese da sostenere (per i giorni a venire) al fine di assumere una persona che la aiuti. Il danno futuro, proprio per la sua natura, presenta delle problematicità circa l’accertamento e la liquidazione.
Nella presente guida, ci soffermiamo su tali aspetti, concentrando l’attenzione sul diritto al risarcimento sia del lavoratore (autonomo o dipendente) che del soggetto privo di reddito, in caso di lesioni personali.
Sommario
Cosa s’intende con danno futuro
Perché viene risarcito anche il danno futuro?
Riferimenti normativi
Il danno futuro e la perdita di chance
Il danno patrimoniale
Danno da lucro cessante: attuale e futuro
Il danno come conseguenza immediata e diretta
Onere probatorio in caso di illecito contrattuale e aquiliano
La risarcibilità del danno futuro
Come si calcola il danno futuro
Il reddito da porre a base del calcolo
La liquidazione del danno futuro
Il coefficiente di capitalizzazione
Quali sono i coefficienti di capitalizzazione
Il coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata
Come va provato il danno futuro
Il danno da perdita della capacità lavorativa
La prova della perdita di capacità lavorativa: micro e macro-permanenti
La valutazione del danno futuro da lesioni personali
Il lavoratore autonomo
Il lavoratore dipendente
I soggetti privi di reddito
La cenestesi lavorativa: cenni
La prescrizione: cenni
1. Cosa s’intende con danno futuro
Il danno futuro consiste nel pregiudizio patrimoniale che non si manifesta immediatamente dopo il prodursi dell’evento dannoso o dell’inadempimento, ma in un momento successivo. In buona sostanza, si tratta di un danno non ancora maturato nel momento in cui si chiede il risarcimento, ma il cui verificarsi è connotato con certezza. Le ipotesi più frequenti in cui si fa riferimento al danno futuro riguardano la contrazione del reddito subita dal soggetto, a causa di una lesione personale.
Ad esempio, nel caso di un incidente stradale, oltre ai danni materiali patiti dalla vettura (danno patrimoniale attuale), può registrarsi un danno ulteriore, che si proietta nell’avvenire (danno patrimoniale futuro). Infatti, il guidatore può aver subito delle lesioni alla salute che comportano un’invalidità permanente, come la ridotta mobilità di una gamba o un braccio. Se l’uomo svolge l’attività di magazziniere o lavora in una ditta di pulizie, tale pregiudizio incide sulla sua produttività e determina una riduzione del suo reddito rispetto al passato, ossia precedentemente all’incidente. Egli, pertanto, ha diritto di essere risarcito anche per questa posta di danno. Nondimeno, la liquidazione del nocumento futuro rappresenta un elemento assai delicato, su cui ha inciso molto l’elaborazione giurisprudenziale, infatti, i danni futuri – proprio perché non ancora realizzati – vanno accertati su base prognostica, con un calcolo probabilistico.
2. Perché viene risarcito anche il danno futuro?
Nel nostro ordinamento, vige il principio di integralità del risarcimento, anche noto come principio di indifferenza, a mente del quale il ristoro deve coprire “tutto il danno e nulla più che il danno” (art. 1223 c.c.). Tale principio è derogabile solo nei casi previsti dalla legge; il più importante dei quali è rappresentato dal concorso colposo del danneggiato (art. 1227 c.c.). In tale circostanza, l’entità del ristoro del patimento subito è diminuita in proporzione al contributo causale della vittima all’evento di danno. Pertanto, la regola di base consiste nel risarcimento del cosiddetto danno effettivo, per cui l’obbligazione risarcitoria ha ad oggetto il nocumento concretamente subito dal creditore, che non deve ricevere né più né meno di quanto necessario ad elidere gli effetti economici negativi derivanti dall’illecito o dell’inadempimento. Proprio in ragione dei suesposti principi, anche il danno futuro merita ristoro, in quanto rappresenta un nocumento che il danneggiato patisce. Si pensi alla vittima di un incidente, che riporti un’invalidità parziale permanente, tale da costringerla ad assumere qualcuno che la assista. Ebbene, ella ha diritto al risarcimento integrale del pregiudizio subito, comprese le spese da sostenere per assumere una persona che la aiuti (Cass. 17815/2019).
3. Riferimenti normativi
Le norme che vengono in rilievo sono le seguenti:
art. 1223 c.c. «Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore (danno emergente) come il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta»
art.1226 c.c. se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.
art.1227 c.c. se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno (concorso del danneggiato), il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (danno evitabile).
art. 2056 c.c. il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223 (danno emergente e lucro cessante), 1226 (valutazione equitativa) e 1227 (concorso colposo e danno evitabile). Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
art. 2057 c.c. dispone che quando il danno alle persone ha carattere permanente, la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele.
art. 137 del Codice delle Assicurazioni Private (d.lgs. 209/2005), rubricato “danno patrimoniale”, si occupa della lesione da perdita della capacità lavorativa e fornisce indicazioni specifiche sull’incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente sul reddito da lavoro, autonomo o dipendente e negli altri casi.
4. Danno futuro e perdita di chance
Il danno da perdita di chance ha origine giurisprudenziale e appare, la prima volta, in una pronuncia della sezione lavoro (Cass. 6506/1985), che si esprimeva a favore della risarcibilità del danno subito da uno dei partecipanti ad un concorso al quale, dopo aver brillantemente superato la prova scritta, veniva impedita la partecipazione agli orali.
La chance è la possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente e, come affermato in una recente pronuncia in materia di responsabilità medica (Cass. 28993/2019), riguarda sia il danno patrimoniale che non patrimoniale. In particolare,
la chance patrimoniale postula la preesistenza di una situazione positiva (come titoli professionali, attitudini specifiche et similia), su cui la condotta colposa del medico agisce negativamente, impedendone un’evoluzione migliorativa;
la chance non patrimoniale, invece, poggia su una situazione negativa (ad esempio, la presenza di una patologia), che potrebbe migliorare grazie all’intervento medico, che “crea” una chance per il paziente; nondimeno, la condotta imperita del sanitario finisce per “cancellare” la chance di miglioramento che, senza l’operazione clinica, non ci sarebbe stata.
Il danno da perdita di chance riguarda la perdita dell’occasione favorevole e si tratta di un danno attuale, che viene valutato tramite un giudizio prognostico. Diverge, dunque, dal danno futuro, in quanto è un pregiudizio già esistente nel momento in cui se ne chiede il ristoro e che può avere anche natura non patrimoniale. Inoltre, la chance è connotata da un’“incertezza eventistica” (Cass. 28993/2019), mentre il danno futuro è certo o altamente probabile.
5. Il danno patrimoniale
Il danno patrimoniale è il pregiudizio economico che colpisce la sfera del danneggiato e può derivare:
da un inadempimento contrattuale, si pensi alla mancata (inadempimento totale) o inesatta o ritardata consegna (inadempimento parziale o inesatto) di un macchinario precedentemente pagato;
da un illecito (ad esempio, il tamponamento che provoca dei danni alla vettura).
Quindi, il danno patrimoniale può derivare dall’inadempimento, totale o parziale, di un’obbligazione (responsabilità contrattuale) o da un illecito (responsabilità aquiliana).
In entrambi i casi, il danno patrimoniale, pur essendo unitario, consta di due voci:
il danno emergente, ossia la perdita subita consistente nella diminuzione della sfera patrimoniale del creditore o vittima; ad esempio, in un sinistro stradale, la rottura del fanalino rappresenta un nocumento che incide sul patrimonio del danneggiato, il quale dovrà spendere del denaro per acquistarne un altro e sostituirlo;
il lucro cessante vale a dire il mancato guadagno, ossia il guadagno che il soggetto avrebbe ottenuto senza il verificarsi dell’evento dannoso; sempre nel caso del sinistro stradale, il conducente ha subito dei danni alla persona che gli impediscono di lavorare per due mesi, pertanto, la sua perdita patrimoniale coincide con i 60 giorni di lavoro perso (in quanto, senza incidente, avrebbe svolto la propria attività e ottenuto dei guadagni).
Di seguito, analizziamo brevemente ambedue le componenti.
5.1. Il danno emergente: mancato guadagno
Il danno emergente può consistere:
nel mancato conseguimento della prestazione (ad esempio, la mancata consegna di un macchinario già pagato);
nella difformità della prestazione (la consegna di un bene in luogo di un altro),
nelle spese affrontate a causa dell’inadempimento o dell’illecito e in tutti gli esborsi pregiudizievoli patiti a causa dell’evento (le spese per la sostituzione del fanalino, nell’esempio di cui sopra).
Tale posta di danno riguarda un’utilità che si trova già nel patrimonio del danneggiato.
5.2. Il lucro cessante: perdita subita
Il lucro cessante è il guadagno che viene meno al creditore o alla vittima a seguito dell’inadempimento o dell’illecito. A differenza del danno emergente, si tratta di una ricchezza non ancora conseguita dal creditore, quindi, di un danno futuro che richiede una ragionevole certezza sul suo verificarsi (C. M. BIANCA, Diritto civile. La responsabilità, 5, Milano, Giuffrè, 1994, 120 ss.). Infatti, quell’incremento patrimoniale si sarebbe verificato con alta probabilità, se l’inadempimento o l’illecito non fossero avvenuti. Il danno dal lucro cessante può consistere:
nella mancata utilizzazione del bene; ad esempio, nel mancato godimento di un bene fruttifero, come un macchinario; il danno consiste nel guadagno che il creditore avrebbe tratto nell’uso del bene, con ragionevole certezza;
nella perdita o diminuzione della capacità di lavoro specifica (da non confondere con quella generica che rappresenta una posta di danno non patrimoniale). Si sostanzia nella perdita totale o parziale del guadagno che il danneggiato avrebbe tratto dall’esercizio della propria attività, sia essa subordinata o autonoma. Come vedremo nei paragrafi successivi, la determinazione del danno dipende dal grado di invalidità, temporanea o permanente, in capo alla vittima;
nella perdita di prestazioni assistenziali o alimentari (ad esempio, il la morte del padre che manteneva i figli, vedasi paragrafo 22.3).
6. Danno da lucro cessante: attuale e futuro
Il danno attuale è quello già esistente nel momento in cui si chiede il risarcimento, mentre quello futuro deve ancora realizzarsi. La differenza maggiore consiste nella complessità della liquidazione che, nel secondo caso, deve avvenire su base prognostica, in quanto il nocumento non si è ancora concretizzato. Il danno da lucro cessante può essere sia attuale che futuro.
Una breve esemplificazione aiuterà a comprendere meglio.
Il danno da perdita della capacità di guadagno si realizza allorché una persona (ad esempio un operaio di una ditta di pulizie), a causa della lesione subita, perda il lavoro e il relativo reddito.
Il soggetto può subire un’invalidità temporanea, destinata a cessare nel giro di poco tempo ovvero patire conseguenze permanenti, che proiettano i propri effetti anche nel futuro.
Ad esempio, la semplice frattura di un braccio, comporta un’invalidità temporanea, che impedisce all’operaio di lavorare per due mesi; si tratta di una contrazione del reddito provvisoria. Invece, la ridotta mobilità del braccio, come conseguenza permanente, incide sulla capacità lavorativa della vittima, che non riesce più a pulire con l’efficienza di prima. Quindi, in caso di invalidità permanente, si realizza una riduzione della capacità di guadagno del danneggiato, per il futuro.
7. Il danno come conseguenza immediata e diretta
Il danno risarcibile è quello che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o dell’illecito (art. 1226 c.c.); quindi, il nocumento subito dal creditore è individuato in base al nesso di causalità. Oltre che causalmente connesso al fatto, il danno deve essere effettivo; in altre parole, l’obbligo di risarcimento deve riguardare solo il danno effettivamente patito e il danneggiato non deve ricevere né più né meno di quanto necessario ad elidere gli effetti pregiudizievoli dell’inadempimento o dell’illecito (C. M. BIANCA, Diritto civile. La responsabilità, cit.). L’incremento patrimoniale perduto (lucro cessante) a seguito del danno va risarcito anche nel caso in cui il suo verificarsi sia altamente probabile secondo l’id quod plerumque accidit. Infatti, il lucro cessante, in materia di illecito, viene valutato dal giudice considerando tutte le circostanze (art. 2056 c.c.).
8. Onere probatorio in caso di illecito contrattuale e aquiliano
Come abbiamo visto, il danno futuro può derivare da un inadempimento contrattuale o da un illecito. A seconda della tipologia di responsabilità, muta l’onere probatorio. Infatti:
in caso di responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.) avviene un’inversione dell’onere della prova e spetta al debitore dimostrare che l'inadempimento o il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile;
in caso di responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.), l’onus probandi del pregiudizio subito incombe sul danneggiato.
La suddetta differenza incide anche in relazione al danno futuro?
Ebbene, ai fini del risarcimento del lucro cessante,
-il danneggiato deve dimostrare gli elementi costitutivi del danno e la sua diretta consequenzialità rispetto all'inadempimento e all'illecito;
-il danneggiante deve dimostrare fatti impeditivi alla produzione del danno.
Per completezza, si segnala che il diverso titolo della responsabilità (contrattuale o aquiliana) comporta ulteriori differenze, come si evince dalla lettura dell’art. 2056 c.c. che rinvia solo ad alcune norme relative all’inadempimento. In particolare,
richiama l’art. 1223 (danno emergente e lucro cessante), 1226 (valutazione equitativa) e 1227 (concorso colposo e danno evitabile);
·non menziona l’art. 1225 c.c. (sulla prevedibilità del danno risarcibile).
Pertanto, in ambito contrattuale è risarcibile solo il danno prevedibile al tempo in cui è sorta l’obbligazione, mentre nel caso di responsabilità aquiliana è risarcibile qualsiasi danno, prevedibile o meno. Inoltre, in caso di illecito aquiliano, l'art. 2056 c.c. prevede per la liquidazione del lucro cessante un "equo apprezzamento delle circostanze del caso".
In ogni caso, il danneggiato deve dimostrare l’an e il quantum, oltre al nesso causale, sia che si tratti di inadempimento contrattuale che di illecito aquiliano. Approfondiamo nel paragrafo successivo.
9. La risarcibilità del danno futuro
Per la risarcibilità di qualsiasi danno è necessario dimostrare l’an e il quantum. Per chiarezza espositiva, ricordiamo cosa s’intende con tali espressioni:
l’an debeatur riguarda l’esistenza del diritto al risarcimento, quindi il “se sia dovuto”;
il quantum debeatur inserisce alla quantificazione del risarcimento, ossia “quanto sia dovuto”.
Ciò premesso, il danneggiato deve dimostrare:
l’esistenza del danno (l’an),
il danno patito (il quantum),
il nesso causale.
La regola generale postula la quantificazione del danno, nondimeno vi sono circostanze in cui non è possibile provvedervi e la legge agevola il danneggiato, escludendo la necessità dell’esatta determinazione dell’ammontare del danno (art. 1226 c.c.). Il danno da lucro cessante deve essere quantificato dal danneggiato. Infatti, il potere di decidere in via equitativa, di cui all'art. 1226 c.c., riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, abbia la possibilità di dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito (Cass. 15737/2018; Cass. 25370/2018; Cass. 8896/2016).
10. Come si calcola il danno futuro
Il risarcimento del danno permanente da lucro cessante (art. 2057 c.c.) può avvenire:
in forma di capitale,
in forma di rendita.
La scelta è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito; dal punto di vista finanziario la liquidazione nell'una o nell'altra forma è indifferente, purché – come vedremo – sia correttamente individuato il coefficiente di capitalizzazione (Cass. Ord. 6619/2018). Nella presente trattazione ci soffermeremo sulla liquidazione in forma di capitale.
In virtù del principio dell’integralità del risarcimento (vedasi paragrafo 2), il ristoro per il danno patrimoniale futuro si calcola moltiplicando il reddito perduto (Cass. 17042/2019):
per un adeguato coefficiente di capitalizzazione;
(a tal fine, si impiega, quale parametro, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, ad esempio, metalmeccanico o impiegato di banca),
oppure, per coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti,
(quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano).
Come vedremo più diffusamente, la formula da impiegare per la liquidazione del danno futuro è la seguente:
reddito perduto * coefficiente di capitalizzazione
Analizziamo, quindi, come si calcola il reddito e quale sia il coefficiente da impiegare.
11. Il reddito da porre a base del calcolo
Circa la liquidazione del danno futuro, l’unico riferimento normativo specifico è dato dall’art. 137 d. lgs. 209/2005, a mente del quale, nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina:
per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni;
per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni;
in tutti gli altri casi, il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore al triplo della pensione sociale.
La succitata norma (art. 137 d. lgs. 209/2005) indica il reddito da porre a base del calcolo, ma non offre indicazioni in ordine alla liquidazione del danno.
12. La liquidazione del danno futuro
In passato, si impiegava la cosiddetta “regola del calzolaio” elaborata da Melchiorre Gioia, antesignana del moderno concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica. In estrema sintesi, ecco di cosa si tratta: un calzolaio confezionava due scarpe al giorno; dopo aver subito un danno alla persona, l’uomo riusciva a realizzare una sola scarpa quotidianamente. Pertanto, l’entità del risarcimento deve calcolarsi moltiplicando il valore della scarpa (che non riesce più a produrre) per i giorni lavorativi che gli restano. Le tecniche liquidatorie attuali, elaborate dalla giurisprudenza, sono più articolate ma, a ben vedere, non si discostano di molto dalla regola sopra esposta.
Premesso che l’art. 1223 c.c. postula l’integralità del risarcimento, la valutazione del danno deve essere effettuata mediante la moltiplicazione del reddito perduto "per un adeguato coefficiente di capitalizzazione". Per il calcolo complessivo, devono essere utilizzati come parametri:
la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa,
coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano (Cass. 10499/2017).
Come abbiamo visto, il reddito perduto va moltiplicato per il coefficiente di capitalizzazione.
Vediamo di cosa si tratta.
13. Il coefficiente di capitalizzazione
Come si calcola il danno da mancato guadagno?
Innanzitutto, il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno non va liquidato moltiplicando il reddito mensile perduto per il numero di mesi per i quali la vittima avrebbe svolto la propria attività lavorativa. Infatti, in tal modo non si considera il vantaggio ottenuto dal creditore nel ricevere immediatamente una somma, che egli avrebbe conseguito solo in futuro. Per questo motivo, entra in gioco il metodo della capitalizzazione, in altre parole si moltiplica il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione. Solo in tal guisa, si può considerare il cosiddetto “montante di anticipazione”, vale a dire il vantaggio a cui si accennava poco sopra. Pertanto, ecco il calcolo da effettuare:
Reddito perso [reddito di lavoro * n. mesi di lavoro persi] * coefficiente di capitalizzazione
14. Quali sono i coefficienti di capitalizzazione
Da un punto di vista strettamente normativo, il coefficiente di capitalizzazione – a cui va moltiplicato il reddito perduto – è contenuto nella tabella allegata al R.D. 1403/1922.
La giurisprudenza ha rilevato come il danno permanente da incapacità di guadagno non possa più liquidarsi utilizzando i coefficienti di capitalizzazione approvati con un regio decreto di oltre un secolo fa. Infatti, i coefficienti ivi contenuti sono inidonei a consentire un calcolo equitativo del danno, sia a causa dell’aumento della durata media della vita, sia per la diminuzione dei saggi d'interesse (Cass. 16913/2019). Per le ragioni sopra esposte, il giudice di merito è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili (Cass. 20615/2015, Cass. 9048/2018), a condizione però che si avvalga di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti, ad esempio:
i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali,
i coefficienti elaborati in dottrina.
15. Il coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata
Nella liquidazione del danno futuro occorre prendere in considerazione un coefficiente di riduzione per anticipata corresponsione, altrimenti detto coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata.
La giurisprudenza (Cass. 31235/2018) suddivide in due categorie i danni patrimoniali futuri e permanenti, in base al momento in cui viene compiuta la liquidazione:
quelli che si stanno già producendo nel momento della liquidazione e che continueranno a prodursi in futuro (si pensi, agli esborsi per le spese sanitarie e di assistenza in caso di lesioni subite a seguito di un sinistro stradale);
quelli che, pur essendo certi od altamente verosimili nel loro avverarsi, al momento della sentenza non si sono ancora avverati, perché inizieranno a prodursi solo dopo un certo periodo di tempo dalla liquidazione (l’esempio emblematico è costituito dal lucro cessante derivante dalla perdita della capacità di lavoro del minorenne).
- I danni che si stanno già producendo al momento della liquidazione (sub 1) possono essere liquidati in due modi:
moltiplicando l'importo annuo del danno per il numero di anni per i quali il pregiudizio verosimilmente si produrrà; il risultato ottenuto dovrà essere ridotto attraverso lo sconto matematico, pari al "compenso" spettante a chi paga un debito prima della scadenza, in base alla seguente formula:
capitale * il saggio di sconto
_____________________________________
il tempo di anticipazione (espresso in dodicesimi)
oppure, moltiplicando l'importo annuo del danno per un coefficiente di capitalizzazione anticipata.
- I danni patrimoniali futuri (sub 2), si producono de die in diem e non sono ancora venuti ad esistenza al momento della liquidazione. Ad esempio, nel caso del minore, la perdita della capacità di guadagno, si produrrà solo con il raggiungimento dell'età lavorativa. I suddetti danni possono essere liquidati con il sistema della capitalizzazione, vale a dire moltiplicando l'importo annuo del reddito presumibilmente perduto dalla vittima, per un coefficiente di capitalizzazione:
reddito perduto * coefficiente di capitalizzazione
16. Come va provato il danno futuro
Spetta al danneggiato dimostrare come l’evento dannoso abbia inciso sulla sua possibilità di guadagno futuro.
La giurisprudenza ha affermato che «il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'"an" dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione de danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito» (Cass. 21988/2019; Cass. 15737/2018; Cass. 11361/2014). In buona sostanza, il danneggiato deve:
provare il danno subito, anche tramite presunzioni semplici, da cui si evinca la riduzione della capacità lavorativa specifica (an debeatur);
dimostrare l’effettiva contrazione dei suoi guadagni in seguito al sinistro (quantum debeatur).
Nel paragrafo successivo, ricordiamo cosa s’intende con perdita o riduzione della capacità lavorativa.
17. Il danno da perdita della capacità lavorativa
Quando un soggetto subisce una lesione dell’integrità fisica, può riportare:
un danno alla salute (danno non patrimoniale),
un danno alla capacità lavorativa specifica (danno patrimoniale).
Infatti, è possibile che il pregiudizio patito, oltre ad incidere sull’integrità fisica, precluda o renda più gravoso, per il danneggiato, svolgere la propria occupazione lavorativa.
La capacità lavorativa, astrattamente intesa, è l’idoneità di un soggetto a produrre un reddito; la giurisprudenza ne distingue due forme:
capacità lavorativa generica: ossia la possibilità di svolgere qualsiasi lavoro, anche diverso dal proprio, ma confacente con le proprie attitudini;
capacità lavorativa specifica: ossia l’idoneità a svolgere la propria attuale occupazione (ad esempio, il geometra o il macchinista).
Ambedue le categorie di cui sopra sono autonome l’una rispetto all’altra, pertanto, vanno risarciti al danneggiato, non solo i danni patrimoniali dovuti all’incapacità di continuare ad esercitare l'attività svolta all'epoca del sinistro (danni da incapacità lavorativa specifica), ma anche i danni ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità non consenta alla vittima la possibilità di attendere ad altri lavori, consoni con le sue attitudini, condizioni personali e ambientali, idonei alla produzione di fonti di reddito. In buona sostanza, «gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito» (Cass. 12211/2015)
Riassumendo:
la perdita della capacità lavorativa generica si sostanzia in un danno non patrimoniale consistente nelle difficoltà ad esercitare un’occupazione lavorativa astrattamente intesa;
la perdita della capacità lavorativa specifica è un danno patrimoniale consistente nella difficoltà di continuare a svolgere concretamente il proprio lavoro e da cui scaturisce il danno futuro da lucro cessante.
18. La prova della perdita di capacità lavorativa: micro e macro-permanenti
La lesione alla salute, nella forma dell’invalidità permanente, non produce automaticamente la diminuzione della capacità di guadagno, pertanto, spetta al danneggiato allegare e provare, anche mediante presunzioni, che il pregiudizio fisico abbia inciso sulla sua capacità di produrre reddito.
Infatti, «il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica, quantunque di elevata entità, non determina ipso facto la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, che presumibilmente avrebbe svolto) e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso» (Cass. 5786/2017). In particolare, il danneggiato:
in caso di lesioni macro-permanenti (pari o superiori al 10%) deve allegare, anche tramite presunzioni, che la lesione alla salute abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica;
in caso di micro-permanenti (pari o inferiori al 9%) si presume che non vi sia un danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica. Infatti, in presenza di lesioni di lieve entità, il pregiudizio subito si ritiene “assorbito” nel danno alla salute (Cass. 15289/2012), salvo la prova contraria addotta dal danneggiato (Cass. 13431/2010).
19. La valutazione del danno futuro da lesioni personali
La giurisprudenza si è spesso soffermata sul danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali. Tale tipologia di pregiudizio:
·va valutata su base prognostica,
il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici.
Pertanto, una volta che la vittima abbia dimostrato la riduzione della capacità di lavoro specifica, «è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività lavorativa» (Cass. 24209/2019).
Come vedremo nel paragrafo successivo, tale presunzione riguarda solo l'esistenza del danno (il cosiddetto an), mentre, ai fini della sua quantificazione (il quantum), è onere del danneggiato dimostrare la contrazione del reddito dopo il sinistro. Infatti, il giudice, in difetto della suddetta allegazione, non può decidere in via equitativa. Il potere di cui all'art. 1226 c.c. riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, abbia la possibilità di dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito (Cass. 15737/2018; Cass. 25370/2018; Cass. 8896/2016).
20. Il lavoratore autonomo
Come abbiamo visto nel paragrafo 11 a cui si rinvia, ai fini del calcolo del danno subito da un lavoratore autonomo occorre considerare:
“il reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni” (art. 137 d. lgs. 209/2005).
In merito al significato dell’espressione “reddito netto”, quale parametro di riferimento per la liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, è intervenuta la giurisprudenza (Cass. 11759/2018). La norma attribuisce rilievo al reddito da lavoro netto dichiarato dal lavoratore autonomo ai fini dell'applicazione dell’IRPEF e riguarda
·non il reddito che residua dopo l'applicazione dell’IRPEF
ma la base imponibile (di cui all'art. 3 del D.P.R. 597/1973), cioè l'importo che il contribuente è tenuto a dichiarare ai fini dell'imposta sopraindicata.
Inoltre, deve intendersi «per reddito dichiarato dal danneggiato quello risultante dalla differenza fra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d'acconto) ed il totale dei costi inerenti all'esercizio professionale - analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati - senza possibilità di ulteriore decurtazione dell'importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d'imposta sofferte dal professionista» (Cass. 11759/2018; Cass. 18855/2008).
Inoltre, il giudice, nella liquidazione del danno, deve considerare anche "il prevedibile progressivo incremento reddituale che caratterizza una data attività" (Cass. 16913/2019). Si pensi ad un giovane professionista (ad esempio, un geometra o un commercialista) che subisce una lesione alla propria capacità lavorativa specifica, ossia un danno patrimoniale da lucro cessante. Si presume che il guadagno di un professionista, con gli anni, aumenti progressivamente e il giudicante deve tenerne debito conto.
21. Il lavoratore dipendente
Come abbiamo visto nel paragrafo 11 a cui si rinvia, ai fini del calcolo del danno subito da un lavoratore dipendente occorre considerare:
“il reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni” (art. 137 d. lgs. 209/2005)
22. I soggetti privi di reddito
Può capitare che a subire postumi permanenti invalidanti siano soggetti privi di capacità lavorativa specifica, per i quali è difficile dimostrare il danno futuro da lucro cessante. Ricorrono segnatamente due ipotesi:
se il soggetto non svolge attività retribuita (la casalinga o la madre che si dedica alle cure del figlio invalido) si considera il valore economico dell’attività effettuata (collaboratrice domestica o infermiera);
se il soggetto non ha raggiunto l’età lavorativa (si pensi al minorenne), occorre valutare le circostanze che rendano probabile la futura carriera della vittima (ad esempio, il corso di studi o il titolo professionale), inoltre, va considerato anche l’ambiente sociale e familiare di provenienza.
22.1. Il danno futuro della casalinga o del casalingo
L’attività domestica costituisce un vero e proprio lavoro, pertanto, nel caso in cui la casalinga o il casalingo (Cass. 24471/2014) subisca delle lesioni personali tali da impedirne o renderne più difficoltoso l’esercizio, si pone il problema della risarcibilità. Innanzitutto, sulla casalinga grava l’onere di dimostrare come la lesione abbia reso più oneroso lo svolgimento della propria attività domestica, la suddetta prova può essere addotta anche tramite presunzioni.
Secondo la giurisprudenza, la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge un'attività suscettibile di valutazione economica. Pertanto, il pregiudizio subito rientra nella categoria del danno patrimoniale, autonomo rispetto al danno biologico. Il fondamento di tale diritto si rinviene nella Costituzione, agli artt. 4 e 37, che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro e i diritti della donna lavoratrice (Cass. 15580/2000).
La Suprema Corte ha enunciato alcuni principi di diritto, in materia di risarcimento del danno subito dalla casalinga, secondo i quali:
1) se viene accertata una perdita o riduzione della capacità lavorativa domestica, possono applicarsi le presunzioni intese a provare l’esistenza di un danno patrimoniale (Corte. 16392/2010; Cass. 25726/2014) determinato dall'impedimento o dalla riduzione dell’attività di lavoro casalingo, che il soggetto svolgeva. Infatti, si tratta di attività suscettiva di valutazione economica (Corte 2639/2005; Cass. 24471/2014), che può ricevere ristoro attraverso il criterio di liquidazione equitativa del danno, tenuto conto dei parametri forniti:
dal calcolo del reddito desunto dal contratto collettivo delle colf,
·ovvero dal criterio legale del triplo della pensione sociale;
2) se, invece, viene accertato un danno da cenestesi lavorativa (vedasi paragrafo 23), ossia l'attività domestica può essere svolta ma con maggiore gravosità e la lesione non incide sulla capacità lavorativa del soggetto, allora un tale pregiudizio deve essere risarcito come danno biologico e compensato attraverso la personalizzazione del valore punto tabellare (Cass. 19197/2018).
22.2. Danno futuro per i minori
Il soggetto, minore d’età, che abbia subito dei postumi permanenti invalidanti subisce un danno futuro da lucro cessante. La problematica, nel caso di soggetti che non abbiano raggiunto la maggiore età, riguarda il parametro per il calcolo del risarcimento. In particolare, può accadere che il minore subisca la perdita totale o parziale della possibilità di produrre reddito oppure, a causa delle lesioni, patisca un ritardato ingresso nel mondo del lavoro.
Innanzitutto, trattandosi di un danno futuro, occorre effettuare una valutazione di carattere prognostico. Gli elementi da considerare sono molteplici (Cass. 24331/2008):
l’età,
il corso di studi frequentato o gli studi effettuati,
le inclinazioni,
il suo ambiente sociale,
la posizione della famiglia (Cass. 19445/2008).
Nel caso in cui i suddetti parametri non siano sufficienti, nella stima del danno, il giudice può considerare il reddito dei genitori, ipotizzando lo svolgimento della medesima attività lavorativa (Cass. 19445/2008). Quindi, si può impiegare come parametro di riferimento il reddito medio della figura professionale di riferimento (ad esempio, se il soggetto ha intrapreso la facoltà di architettura, si ritiene che diverrà architetto) o, in via residuale, il parametro del triplo della pensione sociale.
22.3. Danno futuro per i figli in caso di decesso del genitore
Sui genitori grava l’obbligo di mantenimento della prole sino al raggiungimento dell’indipendenza economica. La giurisprudenza per stimare il momento di cessazione di tale obbligo ritiene che non sia sufficiente il compimento della maggiore età, ove i figli incolpevolmente non abbiano la possibilità di lavorare (Cass. 32529/2018; Cass. 2289/2001; Cass. 1353/1999). Ciò premesso, la morte di un genitore può causare ai suoi familiari (moglie e figli, ad esempio) un danno patrimoniale da lucro cessante, consistente nella perdita dei benefici economici che la vittima destinava loro:
per legge (si pensi, agli alimenti o all’obbligo di mantenimento dei figli),
per costume sociale.
Restano escluse «le sovvenzioni episodiche (le quali ovviamente a cagione della loro sporadicità non consentirebbero di presumere ex art. 2727 c.c. che, se la vittima fosse rimasta in vita, sarebbero continuate per l'avvenire)» (Cass. Ord. 6619/2018).
22.3.1. Il calcolo del danno futuro dei figli del genitore defunto
Il danno permanente da lucro cessante (art. 2057 c.c.) ammette che la liquidazione avvenga:
-in forma di capitale,
-in forma di rendita.
La scelta è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito; dal punto di vista finanziario la liquidazione nell'una o nell'altra forma è indifferente, purché sia correttamente individuato il coefficiente di capitalizzazione (Cass. Ord. 6619/2018).
Per la liquidazione in forma di capitale, occorre procedere come segue (Cass. Ord. 6619/2018):
determinare il reddito della vittima al momento della morte;
sottrarre la quota presumibilmente destinata ai bisogni personali della vittima o al risparmio;
moltiplicare il risultato per:
un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie, se si ritiene che il superstite avrebbe continuato beneficiare del sostegno economico del defunto vita natural durante; (il coefficiente deve corrispondere all'età della vittima se era più giovane dell'alimentato o all'età di quest'ultimo nel caso contrario);
un coefficiente di capitalizzazione delle rendite temporanee, se il superstite avrebbe beneficiato del sostegno economico del defunto per un periodo di tempo determinato (il coefficiente da scegliere deve corrispondere alla durata presumibile per la quale sarebbe proseguito il sostegno economico).
Riassumendo:
[reddito della vittima – quota destinata a bisogni personali] * [coefficiente di capitalizzazione]
Naturalmente, nella liquidazione del danno futuro per la morte di un congiunto che con certezza avrebbe continuato ad elargire ai superstiti il proprio sostegno, il giudice deve considerare non solo il reddito della vittima al momento del sinistro, ma anche dei probabili incrementi di guadagno dovuti allo sviluppo della carriera e ad altri eventi che, sulla base dell'id quod plerumque accidit, si sarebbero verificati. Al riguardo, si cita il principio di diritto espresso in una recente pronuncia:
«La liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta, per la moglie, moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie, corrispondente all'età del più giovane tra i due; e per il figlio in base ad un coefficiente di capitalizzazione d'una rendita temporanea, corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell'uno, come nell'altro caso, il reddito da porre a base del calcolo dovrà comunque: (a) essere equitativamente aumentato, per tenere conto dei presumibili incrementi che il lavoratore avrebbe ottenuto, se fosse rimasto in vita; (b) essere ridotto della quota di reddito che la vittima avrebbe destinato a sé, del carico fiscale e delle spese per la produzione del reddito» (Cass. 6619/2018)
23. La cenestesi lavorativa: cenni
Il danno futuro determinato dalla perdita o diminuzione della capacità lavorativa specifica va tenuto distinto dal danno da cenestesi lavorativa. Con tal espressione s’intende la «compromissione biologica dell'essenza dell'individuo che costringe il soggetto leso ai subire una maggiore usura nello svolgere la sua attività lavorativa» (Cass. 17042/2019). Quindi:
il danno da perdita di capacità lavorativa specifica rientra nel danno patrimoniale futuro,
il danno da cenestesi lavorativa rappresenta una componente del danno biologico.
La giurisprudenza individua le seguenti differenze:
«il danno da perdita della capacità lavorativa specifica concerne il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute ed è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio» (Cass. 17042/2019),
la cenestesi lavorativa «consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e va liquidato in via omnicomprensiva come danno alla salute, potendo il giudice che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto» (Cass. Ord.12572/2018; Cass. 12211/2015).
Si tratta di un danno biologico, la cui liquidazione, quindi, avviene su base tabellare e diverge da quella del danno patrimoniale futuro che, come abbiamo visto, è frutto del prodotto tra il reddito perduto e il coefficiente di capitalizzazione (Cass. Ord. 4270/2019).
24. La prescrizione: cenni
Come abbiamo visto, il danno patrimoniale futuro può derivare da un inadempimento contrattuale o da un illecito; a seconda della tipologia di evento, muta il termine prescrizionale. Infatti, il diritto al risarcimento si prescrive:
in 10 anni in caso di responsabilità contrattuale;
in 5 anni in caso di responsabilità aquiliana,
in 2 anni in casi di responsabilità aquiliana derivante dalla circolazione dei veicoli.
fonte altalex
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