News/E’giustificato il licenziamento del dipendente che abbia agito senza un’ordinaria diligenza?

E' giustificato il licenziamento del dipendente che abbia agito senza un’ordinaria diligenza?

In tema di licenziamento del dipendente per giusta causa, ai fini della valutazione di proporzionalità è sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti ed a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 28927/19, depositata l’8 novembre.

Il caso

La Corte di Appello di Roma, riformando la pronuncia di primo grado, dichiarava giustificato il licenziamento per giusta causa comunicato dall’INPS ad un proprio dipendente, colpevole di avere alterato i dati di alcune pratiche di ricongiunzione di periodi assicurativi e riscatti di periodi di laurea. Rilevavano in particolare i Giudici di merito come la condotta del lavoratore fosse stata posta in essere in violazione degli artt. 7 e 9 della l. n. 274/1991, i quali «stabiliscono le modalità di individuazione della data della domanda, che deve coincidere con la data di spedizione della lettera raccomandata, quando essa sia stata presentata con lettera raccomandata, o con la data di protocollazione se presentata a mano, anche in ragione della circolare dell'Istituto n. 40 del 1995». In tale contesto normativo, proseguiva la Corte di merito, «qualora il lavoratore si fosse trovato a lavorare pratiche arretrate avrebbe dovuto trattarle in ragione dei dati in suo possesso a quella data, e non, invece, facendo riferimento un momento arbitrariamente individuato e antecedente, anche in ragione dell'ordinaria diligenza». Infine, nell’avviso della medesima Corte, non vi era violazione del principio del ne bis in idem, in quanto i fatti contestati erano sì coevi a quelli oggetto di un precedente procedimento disciplinare, ma da essi distinti. Contro tale pronuncia il lavoratore dipendente ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi.

Ogni lavoratore, tanto più se con rilevante anzianità di servizio, deve agire con diligenza.

In particolare, e per quanto qui interessa esaminare, il ricorrente si doleva della violazione del principio di proporzionalità tra inadempimento e sanzione disciplinare ad esso conseguente, attribuendo le proprie condotte a meri errori materiali dovuti ad una erronea interpretazione della normativa di riferimento. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, lo rigetta. Ed infatti, nell’avviso della Corte, il lavoratore era tenuto al rispetto della generale ordinaria diligenza che nella specie, secondo la condivisibile opinione del Giudice di secondo grado, non era ravvisabile «attesa la valutazione complessiva dei fatti tutti univocamente indirizzati a un agire contrario al dato normativo», tanto più alla luce della «pluriennale esperienza professionale e la non giovane età del (ricorrente) che non consentivano di considerarlo alla stregua di un inesperto impiegato». Diligenza che peraltro, precisa la Corte funzionalmente ad offrire una “soglia-parametro” del grado di diligenza atteso da un lavoratore assegnato a mansioni quali quelle ricoperte dal ricorrente, «poteva essere assolto sia con il confronto con i colleghi, sia mediante adempimenti istruttori integrativi, anche rivolgendosi agli interessati, al fine di colmare la mancanza di timbro di spedizione o di timbro di ricevimento».

Il principio del ne bis in idem si riferisce solo al medesimo fatto storico.

Sotto un ulteriore profilo, il ricorrente si doleva della violazione del principio del ne bis in idem assumendo che talune contestazioni ai lui mosse nel 2013 e nel 2016 si riferissero a «pratiche trattate nello stesso periodo e affette da analoghe (presunte) irregolarità, sicché oggettivamente sussisteva la violazione del divieto del ne bis in idem da parte dell'INPS». Motivo che tuttavia, ancora una volta, non viene condiviso dalla Cassazione la quale, rigettando il ricorso, ribadisce come «qualora il datore di lavoro abbia esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti […] non può esercitare, una seconda volta, per quegli stessi fatti […] il detto potere ormai consumato anche sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica [….]». Tale pacifico principio tuttavia, precisa la Cassazione, si riferisce solo a contestazioni riferite a «la stessa condotta» e non alle fattispecie – come quella in commento – in cui «le condotte oggetto della sanzione disciplinare conservativa e di quella espulsiva sono diverse riguardando irregolarità analoghe ma effettuate nello svolgimento di distinte pratiche sia pure coeve».

Fonte DeJure


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