Danno da ritardato adempimento: i criteri di liquidazione
Dal danno da ritardato pagamento nasce un obbligo che si affianca all'obbligo principale di adempimento in quanto il legislatore ha previsto che, indipendentemente dalla fonte del rapporto obbligatorio, sia essa contrattuale o extracontrattuale, una volta accertata l'esistenza del rapporto giuridico obbligatorio ed il conseguente obbligo di adempimento, il mancato o ritardato adempimento deve essere sanzionato con la condanna al risarcimento di tutti quei danni conseguenti a tale evento.
La Suprema Corte di Cassazione, sez. III civile, torna a pronunciarsi sul danno da ritardato adempimento, enunciandone i criteri di liquidazione con l’ordinanza 29 aprile - 28 agosto 2019, n. 21764 .
Un danno, ribadisce la Corte, che rappresenta una componente autonoma, distinta ed essenziale della fattispecie risarcitoria, e che si identifica con l’ulteriore pregiudizio subito dal danneggiato che a causa del ritardo nel percepire la somma dovutagli si trova nella concreta impossibilità di disporne e di impiegarla in modo remunerativo.
Il caso
La pronuncia trae origine da un sinistro stradale, all’esito del quale una donna riportava gravi lesioni personali.
Con sentenza resa in primo grado veniva accertato che il sinistro si era verificato per esclusiva responsabilità di un mezzo appartenente al Ministero della difesa, che veniva pertanto condannato al risarcimento del danno in favore dell’attrice.
In considerazione degli acconti ricevuti da quest’ultima la Corte d’Appello di Roma riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale, riquantificando la somma spettante alla danneggiata e condannandola a restituire alla compagnia assicuratrice convenuta quanto percepito in eccedenza.
La donna proponeva ricorso per cassazione, lamentando l’errata quantificazione operata dalla Corte di merito.
I criteri di liquidazione del danno da ritardato adempimento
La Suprema Corte condivide la ricostruzione operata dalla ricorrente, richiamando il principio di diritto già precedentemente affermato in materia di liquidazione del danno da mora o da ritardato adempimento.
Ribadisce a tal proposito che in tema di obbligazioni risarcitorie il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi compensativi, atti appunto a remunerare il danno che si presume abbia subito a causa del ritardato pagamento del dovuto (in tal senso si veda, tra le tante, Cass. n. 25817/2017).
Come già affermato in precedenza (sul punto si veda anche il commento a Cassazione civile, sez. VI-3, ordinanza 12/06/2019 n° 15856, “Danno da mora: come liquidarlo nelle obbligazioni di valore”), il ritardo nell’adempimento è infatti fonte di un danno ulteriore e diverso rispetto a quello già subito dal creditore in via primaria, identificabile nell’impossibilità per il danneggiato di disporre della somma dovutagli e di impiegarla in modo remunerativo.
In particolare, aggiunge la Corte, qualora il debitore abbia poi corrisposto un acconto prima della quantificazione definitiva, la liquidazione del danno da ritardato adempimento dovrà avvenire non in via equitativa (come di regola accade in assenza di parametri di liquidazione specifici), bensì alla luce di criteri “omogenei”, così sintetizzabili:
• l’eventuale acconto ed il credito devono essere devalutati alla data dell’illecito;
• l’acconto deve essere detratto dal credito;
• devono infine calcolarsi gli interessi compensativi mediante l’individuazione di un saggio, scelto in via equitativa, da applicare prima sull’intero capitale (rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito a quella di pagamento dell’acconto) e poi sulla somma residua a seguito della detrazione dell’acconto (anch’essa rivalutata annualmente per il periodo compreso tra quel pagamento e la data di liquidazione definitiva).
La Corte chiarisce infine che è principio indiscusso che l’eventuale somma da pagare in restituzione, a seguito del nuovo conteggio, dovrà essere maggiorata solo degli interessi maturati a partire dalla data dei pagamenti ricevuti (in tal senso Cass. n. 21699/2011).
La decisione della Corte
Alla luce di quanto esposto la Corte ha rilevato che, malgrado il riferimento ai richiamati principi in punto di quantificazione del danno, la Corte d’Appello non ne ha tuttavia fatto applicazione nell’effettuare il calcolo per determinare l’importo oggetto di restituzione.
Gli acconti corrisposti alla danneggiata, pur correttamente devalutati alla data del sinistro, sono stati infatti maggiorati da interessi e rivalutazione fino alla data della sentenza di primo grado, incrementando così le somme per un periodo durante il quale, in realtà, la danneggiata non ne ha goduto affatto.
Per tali motivi la Suprema Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello illogica e dunque viziata in relazione all’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c. ed ha cassato la sentenza, rinviando alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, per il riesame della controversia in relazione al motivo accolto, alla luce dei principi di diritto evidenziati.
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